L’orchidea insegna

Non sono famosa per il mio pollice verde. Ho sempre dichiarato di possederlo grigio e nonostante le mie buone intenzioni… ahimè… solo poche piante sopravvivono alle mie “cure”. Troppa acqua, poca acqua, sole, penombra, zona aerata o poco meno. Insomma sono una frana. L’unica pianta che riesce e sopravvivere alle mie attenzioni è l’orchidea. L’ho piacevolmente scoperto quattro anni fa, grazie ad un dono che portava con sé delle basilari indicazioni. Negli anni ho imparato ad averne cura, e devo dire che le sue necessità combaciano con la mia disponibilità ad offrirgliene.

Nel corso del tempo, e con grande piacere, la flora di casa si è moltiplicata. Ho potuto gioire per le nuove foglie, le piccole radici che si apprestavano ad aggrapparsi alla corteccia, le bellissime gemme, le infiorescenze colorate, il loro nascere verso la luce, ma anche delle radici che ormai avevano fatto il loro corso pian piano si svuotavano fino a seccarsi, le foglie ingiallite e dei piccoli parassiti che ho scoperto allergici all’infuso di cannella.

Qualche tempo fa nella piccolina (i suoi fiori rimangono piccini) è spuntato un keiki, che altro non è che un figlioletto. Ho lasciato che crescesse, che avesse le sue radici e che ne formasse a sufficienza. Ma poi preoccupata che potesse morire ho deciso di non staccarlo, così  ha prodotto i suoi primi steli e fiori. Fin qui tutto bene. Ma circa un mese fa, nel giro di pochi giorni mamma-orchidea ha iniziato ad appassire, le sue radici erano ancora verde/argento ma stava perdendo tutte le foglie. Così ho staccato il figlioletto ormai indipendente, ma la mamma purtroppo era ormai spoglia e giallognola.

Ho avuto difficoltà a gettar via il vaso con le radici, quindi l’ho messo da parte nutrendo qualche speranza ma non troppa fiducia e, con mia grossa sorpresa, qualche settimana fa è avvenuto il miracolo… La mamma è rinata! Due piccole foglioline si sono affacciate dalla
base ormai rinsecchita ed ora crescono di un verde brillante. Piccole cose che rallegrano la vita!

Ma la domanda è… e quindi? Che c’entra l’orchidea con questo sito/blog di psicologia e mindfulness?

Avete presente quando nella vita scegliamo di continuare a stare in una situazione e in quel momento sembra la scelta più giusta, la cosa che meno ci costerebbe sacrificio o quando decidiamo di posticipare, aspettare ancora un pochino per vedere che succede, confidando in qualcosa che accadrà e andrà per il verso che desideriamo? In effetti è capitato a tutti di rimanere aggrappati a un’idea, a un pensiero, una sensazione, un’amicizia, alla famiglia, ad un genitore o ad un amore che, per quanto piacevole o meno, ostacola il cambiamento inevitabile e in noi sorge la preoccupazione per il futuro e il lasciar andare e accettare ci appare quasi impossibile.

Pensiamo a dei genitori con un figlio adolescente. Al di là della conflittualità che fa parte della crescita, il ragazzo cerca di prendere le distanze per costruire la propria identità e cercare di definirsi. Ci troviamo di fronte al lasciare andare un ruolo, una responsabilità, il desiderio di accudimento, lasciare la libertà all’altro di sbagliare ed imparare dagli errori ed ancor di più ci scontriamo con il sentirsi soli e tristi nella perdita di un pezzo della nostra storia, ma che rappresenta l’unica via per fare spazio ad una rinascita, alla creatività che ci aiuta a generare un nuovo modo di percepirsi. Così, una volta che lasciamo andare il “cucciolo” e riusciamo a stare con quella mancanza possiamo concederci di rifiorire, iniziare una scuola di ballo, dedicarci a una passione accantonata nel tempo e ricontrattare la relazione verso un’ottica più matura ed appagante.

Ciò accade in tantissimi momenti di vita. In una relazione affettiva, una scelta lavorativa, un cambiamento nello stile di vita, ma anche nel lasciar andare un pensiero che tanto ci piace oppure che ci preoccupa.

Cosa lasceremo andare oggi? Io inizio con l’aria che esce dal corpo. Grata per questo istante.

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