Psicoterapia
A volte mi chiedono cosa significhi “fare psicoterapia”. Non è facile rispondere, perché non è un lavoro che si può racchiudere in una sola definizione. Per me è un modo di stare con l’altro, di camminare accanto, di provare a comprendere insieme come ognuno costruisce il proprio modo di stare al mondo.
Nel modello cognitivo costruttivista, il cuore del lavoro non prevede una verità da trovare, ma una storia da esplorare.
Ogni persona arriva con il suo modo di leggere la realtà, con le parole che ha imparato a usare per raccontarsi, con le ferite e le risorse che danno forma al suo mondo. Io non porto risposte, porto domande. Provo a essere una presenza che accompagna, che ascolta senza giudizio, che aiuta a guardare le cose da un’altra prospettiva — a volte più ampia, a volte semplicemente diversa.
Mi piace pensare che ogni colloquio sia come aprire insieme una finestra e, a seconda del momento e dell’utilità si scelga di osservare da dall’interno verso l’esterno, o dall’esterno verso l’interno.
In questo spazio di incontro, la psicoterapia diventa una conversazione viva, un dialogo dove la persona può rinarrare se stessa, e io ho il privilegio di assistere a quella riscrittura.
Essere psicoterapeuta, per me, è anche un esercizio continuo di fiducia nel potere della relazione, nella parola e nella capacità umana di trovare senso anche nei momenti più bui.
E nel coraggio — il mio e quello dell’altro — di lasciarsi cambiare da ogni incontro.
