Riflessioni mattutine dopo il congresso “Uno, nessuno, centomila. Il dilemma dell’identità”

In un contesto di ricerca e umanità, immerso nella natura e nella convivialità ecco qualche riflessione sul congresso SITCC 2025 “Uno, nessuno, centomila. Il dilemma dell’identità”. Sono stati giorni che ci hanno ricordato quanto la psicologia sia fatta di pensiero e di cuore, di teoria e di danza, di silenzio e di parole condivise. Un’esperienza che restituisce il senso profondo del prendersi cura insieme.

Produzione di pensieri delle 5.13. Sveglia, come il cagnolino che in questo momento dialoga con i suoi simili

Lo scorso weekend ho partecipato al congresso SITCC 2025 “Uno, nessuno, centomila. Il dilemma dell’identità” nella bellissima cornice di Chia, e mi porto dentro un senso di pienezza difficile da raccontare.

Sono stati giorni intensi e leggeri allo stesso tempo, fatti di ricerca scientifica e confronto clinico, ma anche di natura, convivialità e incontri nutrienti.

É stato un congresso curato nei dettagli, in un ambiente accogliente, dove si respirava il piacere di stare insieme. Tra presentazioni di libri, il profumo di macchia mediterranea e mare, balli serali e conversazioni nate per caso e diventate subito profonde, i simposi si sono susseguiti con intensità ma con piacevoli intervalli di condivisione.

Un’esperienza che ha avuto il sapore di una comunità viva, curiosa e frizzante, capace di stimolare riflessioni e dibattiti generativi.

In questo contesto, tra teoria e umanità, sono tornate a farsi sentire le parole della cura, quelle parole che danno senso al nostro lavoro, ma che spesso si smarriscono tra protocolli, scadenze e linguaggi tecnici.

Le parole che, quando le ritrovi, ti ricordano perché hai scelto questa professione.

La prima che condivido è ascolto.

Ascoltare non significa solo comprendere, ma accogliere.È lasciare che l’altro entri nel proprio spazio interno senza fretta, senza la necessità di aggiustare subito ciò che porta.

Al congresso ho sentito un ascolto con note di rispetto e apertura, capace di dare valore anche al silenzio e all’incertezza. La vera cura inizia proprio lì, con un’intenzione di accoglienza, ovvero quando smettiamo di fare e iniziamo semplicemente a essere presenti.

Poi c’è identità, la parola che ha dato titolo all’evento.

“Uno, nessuno, centomila” non è solo un riferimento pirandelliano, ma una verità che abita ognuno di noi. Siamo tanti volti, tante parti che convivono e a volte si confondono.

La cura, in fondo, nasce proprio per dare spazio a ogni parte, nel permettere a queste parti di raccontarsi, ricomporsi e acquisire senso, senza forzature. Aiutare qualcuno a ritrovare il proprio filo non è restituirgli un’immagine univoca, ma accompagnarlo nel riconoscere la ricchezza del proprio essere molteplice.

In questi giorni di scambio e ricerca, la parola relazione ha trovato una forma concreta.

La scienza è diventata dialogo frizzante e la clinica si è fatta incontro tra colleghi che si ascoltano, si interrogano e si emozionano insieme.

La relazione è il cuore della cura, lo spazio dove due persone si incontrano senza maschere, dove nasce qualcosa di condiviso e unico. Di fatto, non importa se si tratta di una seduta di psicoterapia o di una chiacchierata tra colleghi, ogni volta che la relazione è autentica, accade qualcosa di trasformativo.

Penso anche alla reciprocità, che in questi giorni si è manifestata nei modi più semplici e speciali. Condividere un pasto, un ballo, un libro, un pensiero detto sotto le stelle è stato veramente piacevole.

La reciprocità è un continuo scambio di umanità che ci ricorda che nessuno è mai solo. Che nella relazione terapeutica rappresenta un continuo dialogo di crescita per entrambi, terapeuta e paziente.

E infine, la parola che fa da sfondo a tutte le altre, cura.

Cura come gesto, ma anche come postura dell’anima. Cura come rispetto dei tempi, come delicatezza nel linguaggio, come attenzione alla storia che ogni persona porta con sé.

La cura non è mai un atto di potere, ma un esercizio di presenza, talvolta anche dura e ferma.

In questo congresso, anche l’organizzazione stessa ha incarnato questa idea di cura, nelle relazioni tra colleghi, nella gentilezza diffusa, nella possibilità di stare insieme in modo autentico, anche fuori dalle aule.

Ripenso ora a quei giorni e mi accorgo che parlare di cura, in fondo, è parlare di umanità condivisa.

La cura è fatta di scienza e competenza, di spazi di ascolto, di piccoli gesti e di relazioni che si intrecciano.

Quando tutto questo accade in un contesto che permette di respirare, di danzare, di ridere, di confrontarsi sotto lo stesso cielo, allora la ricerca diventa viva, la teoria si fa esperienza, e la cura prende corpo, nel senso più pieno della parola.

Grazie di cuore alla generosità del dono, ai sorrisi, alla gentilezza e alla cura di tutti i colleghi che ho incontrato, a Toni Fenelli e Cecilia Volpi, tessitori di relazioni dai fili caldi e colori vibranti e a tutti gli amici che fanno della semplicità un dono sorprendente, capace di illuminare ogni incontro.

Buona giornata… nel frattempo i cani hanno terminato la loro chiacchierata