La manipolazione affettiva. Un uso malsano delle emozioni

La ricerca scientifica mostra come l’intelligenza emotiva possa servire tanto alla connessione con l’altro quanto alla manipolazione. Tutto dipende dall’intenzione che ci si pone nella relazione. Riconoscere e legittimare le emozioni che si manifestano in noi in una determinata relazione, rappresenta infatti il primo passo per liberarsi e restituire fiducia alle nostre percezioni. Solo quando le emozioni smettono di essere strumenti, tornano a essere linguaggi d’incontro.

Non sempre la manipolazione affettiva si presenta come una violenza. Spesso si insinua con dolcezza in una parola scelta, in un silenzio prolungato, in una colpa suggerita più che dichiarata. Può essere considerata come una forma di influenza che attraversa le relazioni intime e amicali, un modo di orientare l’altro attraverso il linguaggio emotivo.

La ricerca psicologica contemporanea ci aiuta a comprendere questa complessità. In una meta analisi del 2020 l’intelligenza emotiva può avere due volti. Il primo di tipo prosociale, legato alla connessione e alla cura con un’intenzione benevola, e il secondo non prosociale, orientato al controllo e al vantaggio personale. Le stesse competenze che permettono di comprendere e accompagnare l’altro possono essere usate, consapevolmente o meno, per spingerlo a fare ciò che non sceglierebbe liberamente. La differenza, come sempre, non sta nella capacità, ma nell’intenzione relazionale che ci si pone.

In letteratura la manipolazione affettiva viene descritta come un insieme di “tattiche” quotidiane caratterizzate da ricatto emotivo, senso di colpa, ritiro affettivo e comunicazione passivo-aggressiva. Come noterai questi aspetti sono piccole deviazioni del linguaggio che, con la ripetizione nel tempo, possono indebolire la percezione di sé stessi. Dietro queste strategie non si nasconde sempre un intento malevolo, spesso c’è paura, una paura di non essere amati, di non avere voce, di perdere il controllo, non solo di sé ma anche delle relazioni. Così la manipolazione diventa un modo per sopravvivere alle proprie insicurezze, anche se ovviamente finisce per ferire o allontanare l’ altro. Al cuore di ogni manipolazione, c’è una fragilità che chiede di essere vista.

Tra le forme più sottili di manipolazione c’è il gaslighting, una strategia che agisce non solo sull’emozione, ma sulla “realtà” stessa. Mi spiego meglio… Dire “sei troppo sensibile”, “ti sei immaginato tutto”, ,“quello che dici non è mai successo” significa andare ad intaccare la fiducia ha del proprio modo di vedere la vita. Come mostrano gli studi di Darke, Paterson e van Golde in uno studio recente del 2025, il gaslighting è una distorsione del potere relazionale, ovvero, chi lo mette in atto non nega solo un fatto, ma la legittimità dell’altro a interpretare il mondo secondo quella che è la propria esperienza. Ghaltakhchyan (2024), in un’analisi linguistica sul tema, ha mostrato come anche l’ironia, la minimizzazione o la scelta del tono della voce possano costruire questa alterazione. Come sappiamo, non è tanto cosa si dice, ma come lo si dice a definire il nostro modo di leggere la sfera emotiva.

Un’altra prospettiva, proposta da Kamaluddin e colleghi nel2024, definisce la manipolazione affettiva come una forma di aggressione relazionale. Fatta da una violenza che non colpisce il corpo ma la connessione, o meglio, l’idea che ci siamo fatti di questa connessione. Troviamo infatti esclusione, colpe velate e assenze punitive come azioni che regolano questo tipo di reciprocità. È una forma di violenza che non lascia lividi, ma scava lentamente nella fiducia e nella sicurezza si sé. Chi la subisce spesso non se ne accorge subito, perché i segni sono sottili; inizialmente si creano dei dubbi su di sé, ci si sente un po’ più ansiosi e si ha la sensazione di non capire più cosa è reale e cosa no, se quello che si prova è giusto o sbagliato.

Se sei arrivato a leggere fin qui… wow che attenzione!

Comprendere questi processi significa allora spostare lo sguardo dal giudizio al funzionamento. Non si tratta di “smascherare” chi manipola, ma di leggere le dinamiche che nascono dal bisogno e dalla paura. In alcune relazioni, ciò che chiamiamo manipolazione è una goffa richiesta d’amore, una modalità di regolare l’insicurezza affettiva, in altre un banale tornaconto materiale o un desiderio di potere. Riconoscerlo non significa giustificare, ma aprire alla possibilità di un cambiamento ( forse!). Un cambiamento di svincolo da una relazione tossica e non emotivamente appagante.

L’intelligenza emotiva, quando è autentica, non serve a dirigere l’altro, ma a comprenderlo. È una forma di conoscenza che nasce dalla vulnerabilità, non dal controllo. La vera empatia non cerca consenso ma piuttosto lascia spazio. La manipolazione affettiva, invece, tende a chiudere, a trattenere, a spingere l’altro a muoversi entro confini invisibili e non chiari in modo in anche velatamente coercitivo.

Ristabilire una relazione sana passa attraverso la trasparenza emotiva, ovvero saper dire ciò che si prova senza travestirlo o camuffarlo da qualcos’altro o da silenzi manipolatori. È un lavoro di cura che riguarda entrambi i poli della relazione, perché chi manipola e chi subisce restano uniti dallo stesso desiderio… in fondo in fondo tutti noi vogliamo essere riconosciuti dall’altro!

Lavorare in quest’ ambito significa restituire fiducia nella percezione. Aiutare una persona a credere alle proprie emozioni diviene così un atto terapeutico profondo, così da riconoscere che le emozioni non devono essere strumenti di potere, ma un luogo di incontro libero e condiviso.

Se hai voglia di saperne di più ecco gli articoli scientifici open access